Marino Marini
Dopo l'iniziale periodo di evocazione naturalistica, con opere esploratrici di un certo verismo ottocentesco (Il cieco, 1928) o dell'impressionismo innovativo di Medardo Rosso, Marino Marini (Pistoia 1901 - Viareggio 1980) si rivolge all'antico - più che al classico - della scultura egizia, etrusca e greco-romana, reinventandolo in chiave moderna, drammatica ed espressionistica. Scultore, pittore e incisore, il suo arcaismo diventa un linguaggio caratterizzante che si stacca dalla elaborazione artistica del Novecento italiano in nome di una libertà culturale, compositiva e artistica di ispirazione internazionale.
I riferimenti da Maillol a Martini si tramutano in un linguaggio interpretativo personale - e universale - tanto storico quanto "magico", carico di sensibilità luminescente e coloristica. Nelle sue teste sferiche di antichi romani o etruschi dagli sguardi esterrefatti, l'astrazione di allusione geometrica si coniuga a un dettagliato studio delle fisionomie, costantemente in bilico tra realtà della figura e deformazione espressionistica. Le Pomone (dal 1940), i Giocolieri (dal 1930), i Nudi sono sculture fossili, laviche, in cui la figura carica di graffi e lacerazioni si staglia nello spazio in forma netta ma mai rigida, racchiusa in se stessa come un'architettura primordiale priva di tempo. Una figura femminile che tende a snellirsi nelle Danzatrici del 1953-54.
Nella serie Cavallo e cavaliere, poderosi e statici, ma articolati a rilasciare le trattenute energie tramite la composizione brusca dei piani e il risalto dei profili, Marino Marini raggiunge una sintesi tale di drammaticità e precarietà simbiotica tra umano e animale da divenire emblematica della condizione dell'uomo e del mondo contemporaneo. Negli anni '50, le opere dell'artista si concentrato in una ricerca di astrazione senza però perdere le sfumature e i richiami esistenziali.